EPIDEMIOLOGIA E FATTORI PATOGENETICI

In Italia il tumore del rene e delle vie urinarie si colloca al decimo posto in termini di frequenza, con circa 13.400 nuovi casi attesi nel 2018, 8.900 tra gli uomini (4.6% di tutti i tumori incidenti, esclusi gli epiteliomi cutanei) e 4.500 tra le donne (3%). Nella maggioranza (85% del totale) si tratta di tumori a carico del parenchima renale (circa 11.500 nuovi casi), mentre la stima relativa ai tumori delle vie urinarie indica circa 1900 nuovi casi.

L’incidenza aumenta con l’età, con un picco nell’ottava decade di vita quando la frequenza della malattia è di circa 1 nuovo caso ogni 1.000 uomini all’anno e meno della metà per le donne. In termini di peso percentuale il tumore del rene rappresenta il 5% di tutti i tumori diagnosticati tra gli uomini tra 0 e 49 anni, il 4% nella fascia 50-69 anni e il 3% nei soggetti di età maggiore di 70 anni, per le donne le percentuali sono rispettivamente l’1%, il 2% ed il 3%. L’incidenza è sensibilmente più elevata nel sesso maschile.

La sopravvivenza a 5 anni dei tumori del rene e delle vie urinarie in Italia è pari al 71%. Esiste un forte gradiente per età: la sopravvivenza a 5 anni passa dall’87% nella classe di età 15-44 anni al 56% nelle persone più anziane (>75 anni). Rispetto ad altri paesi europei, la prognosi del tumore del rene in Italia è migliore in quanto si posiziona tra quelli a più elevata sopravvivenza.

Fattori di rischio

Il principale fattore di rischio è rappresentato dal fumo di tabacco, che è classificato dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) come cancerogeno e per il quale si dispone di sufficienti evidenze nell’uomo [6], sia per i tumori del parenchima renale che per quelli della pelvi e delle vie urinarie. I fumatori hanno un rischio del 50% più elevato di sviluppare un tumore del parenchima renale rispetto a coloro che non hanno mai fumato. Per i tumori della pelvi la relazione è ancora più forte: i fumatori hanno un rischio tre volte più elevato e proporzionale alla dose e alla durata dell’esposizione [9]. Interrompere l’abitudine al fumo riduce il rischio, anche se dopo un periodo di cessazione relativamente lungo (>10 anni).

L’obesità è un altro fattore di rischio noto in entrambi i sessi. È stato stimato che ci sia un incremento pari al 24% negli uomini e al 34% nelle donne per ogni aumento di 5 punti dell’indice di massa corporea (BMI). Il sovrappeso spiega anche una quota importante dell’eccesso di rischio osservato nei pazienti diabetici [12]; tra questi il rischio di tumore del rene è più elevato in chi usa insulina, ma non è aumentato in chi usa la metformina.

L’ipertensione arteriosa è associata a un aumento del rischio pari a circa il 60%, rispetto ai soggetti normotesi. Il rischio aumenta con la gravità dell’ipertensione arteriosa; non c’è incremento di rischio nei casi sotto controllo farmacologico. L’aumentato rischio di neoplasie renali nei pazienti che utilizzano diuretici e farmaci ipotensivanti è correlato ai livelli pressori piuttosto che all’impiego di questi specifici farmaci.

La malattia cistica renale, che è una condizione relativamente comune nei soggetti dializzati, è associata a un incremento del rischio di tumori renali.
L’esposizione occupazionale a cancerogeni chimici costituisce un ulteriore fattore di rischio per i tumori del parenchima renale, in particolare l’esposizione al tricloroetilene che è un carcinogeno del Gruppo 1 secondo la IARC. Sono associati al tumore del rene, ma con limitata evidenza negli umani, il cadmio e i processi tipografici.

Una piccola quota di tumori si manifesta anche in alcune sindromi genetiche: in particolare nei pazienti con sindrome di Von Hippel Lindau nei quali il rischio di sviluppare un tumore a cellule chiare aumenta con l’età fino a raggiungere il 70% a 60 anni.

Sintomi

La maggior parte delle masse renali rimane asintomatica sino allo stadio avanzato di malattia. Più del 50% dei RCC sono diagnosticati incidentalmente tramite tecniche di imaging non invasivo effettuate per altri disturbi addominali. La diagnosi per la presenza della classica triade (dolore addominale, ematuria macroscopica e massa addominale palpabile) è rara (6-10%) e correla con un’istologia maggiormente aggressiva e stadio avanzato.

Per tale motivo, la classica triade composta da ematuria, dolore lombare e presenza di una massa palpabile a tale livello, appare assai meno frequente che nel recente passato.

Il carcinoma renale può essere associato a tutta una serie di sindromi paraneoplastiche usualmente aspecifiche: ipertensione, poliglobulia, sindrome anoressia/cachessia, sindrome di Stauffer… Quest’ultima è caratterizzata da alterazioni epatiche in assenza di metastasi a carico del fegato, febbre, dolore addominale, epatosplenomegalia e perdita di peso, ma soprattutto alterazioni laboratoristiche quali aumento delle transaminasi, della fosfatasi alcalina, della γGT, dell’attività protrombinica, delle gammaglobuline e della bilirubina.

Ad oggi, non esistono markers tumorali validati. Tuttavia, vale la pena ricordare che, in caso di carcinoma renale avanzato, possono essere riscontrate delle alterazioni ematochimiche, di origine paraneoplastica, relativamente frequenti ma aspecifiche: quali l’anemia o, al contrario, l’eritrocitosi, l’ipercalcemia, l’ipoalbuminemia, la trombocitosi, piuttosto che l’elevazione di indici di fase acuta quali VES e PCR.

La diagnosi di carcinoma renale è principalmente basata su metodiche di imaging

Diagnostica per immagini

Ecografia

L’esame strumentale attraverso il quale viene più frequentemente diagnosticata una neoplasia renale, in assenza di segni/sintomi specifici, è l’ecografia. In presenza di una formazione renale di tipo cistico con spessi setti o noduli interni o di una formazione nodulare solida, l’ecografia di base può essere integrata con il mezzo di contrasto ecografico che consente di differenziare le formazioni vascolarizzate, suggestive di una neoplasia renale, da quelle non vascolarizzate come le cisti semplici o quelle a contenuto ecogeno di tipo proteinaceo o emorragico. Ovviamente, le lesioni ecograficamente sospette in senso oncologico devono essere anche caratterizzate mediante il ricorso alla tomografia computerizzata (TC) o alla risonanza magnetica nucleare (RMN) da eseguire con tecnica dedicata.

TC

La tomografia computerizzata ha dimostrato di possedere, anche nei tumori di piccole dimensioni, la sensibilità più elevata, con valori compresi tra 94% e 100%. Questa indagine consente di valutare l’apporto vascolare arterioso della neoplasia, la trombosi neoplastica della vena renale omolaterale e della vena cava inferiore, l’infiltrazione del seno adiposo renale e della via escretrice calico-pielica. Oltre a rappresentare la miglior indagine disponibile per il planning preoperatorio, l’impiego della tomografia computerizzata è cruciale nella stadiazione poiché consente anche la valutazione delle strutture adiacenti (muscolo psoas e quadrato dei lombi, parete addominale laterale e posteriore, fegato, surreni, milza, pancreas ed intestino), dei linfonodi peri-aortici e peri-cavali e di eventuali localizzazioni secondarie a distanza (anche dell’ordine di mm e non evidenziabili con la RMN specie a carico del distretto polmonare).

RMN

La RMN si pone come valida alternativa alla TC nei pazienti con allergia al mezzo di contrasto e nello stato di gravidanza, come anche per la caratterizzazione delle lesioni cistiche complesse. In alcuni casi può essere necessario ricorrere ad un imaging integrato (US, TC, RM) per la caratterizzazione di una lesione espansiva renale, particolarmente se di piccole dimensioni

SCINTIGRAFIA OSSEA

La scintigrafia ossea dovrebbe essere eseguita in caso di segni o sintomi suggestivi di metastatizzazione ossea, ma non dovrebbe essere considerata un esame di routine. Similarmente, la TC dell’encefalo dovrebbe essere riservata solo a pazienti con sintomatologia neurologica suggestiva.

PET TC

Per quanto riguarda la PET con fluoro-desossi-glucosio (18FDG-PET), la scarsa avidità del carcinoma renale a cellule chiare per il glucosio, attribuisce alla metodica un rischio elevato di falsi negativi [10]. Ad oggi, il suo utilizzo nel carcinoma renale non è giustificato.

BIOPSIA RENALE

L’esecuzione di una biopsia renale eco-guidata o TC-guidata è oggi considerata una procedura diagnostica di routine nella caratterizzazione delle masse renali solide di dubbia natura o non suscettibili di approccio chirurgico; il timore di un aumentato rischio di complicazioni emorragiche o di colonizzazione neoplastica lungo il tratto bioptico appartengono oramai al passato. La biopsia renale non è indicata per i pazienti fragili e con plurime comorbilità per cui l’unica prospettiva è l’approccio conservativo con vigile attesa, indipendentemente dagli esiti della biopsia renale. In relazione all’elevata accuratezza delle metodiche radiologiche, la biopsia renale non è necessaria in pazienti con masse renale captanti mezzo di contrasto per cui è stata programmato un trattamento chirurgico. Il campionamento percutaneo può essere effettuato in anestesia locale tramite agobiopsia (core biopsy) oppure tramite aspirazione con ago sottile (FNA). Le biopsie sono eseguite tramite guida ecografica o TC, senza evidenza di un differente tasso diagnostico con i due approcci.

 

ANATOMIA PATOLOGICA

Lesioni benigne

Angiomiolipoma

L’angiomiolipoma (AML) è una neoplasia benigna mesenchimale, che può manifestarsi sia sporadicamente sia nel contesto della sclerosi tuberosa. È quattro volte più frequente nelle donne rispetto agli uomini e rende conto di circa l’1% delle masse renali rimosse chirurgicamente. Solitamente è riconoscibile all’ecografia, TC e risonanza magnetica (MRI) per la presenza di tessuto adiposo; tuttavia queste metodiche non sono attendibili in caso di AML povero di grasso. La biopsia percutaneaa è raramente utilizzata. Preoperatoriamente può essere complicato distinguere una neoplasia muscolare liscia da una neoplasia epiteliale. Nella sclerosi tuberosa, i pazienti con AML possono presentare dei linfonodi ingranditi (LNs), che non rappresentano una localizzazione metastatica ma un angiomiolipoma multicentrico. In rari casi, si può riscontrare la presenza di un trombo non maligno in vena renale o vena cava inferiore, associato ad AML con pattern di crescita angiotropo. Solo la variante di AML epitelioide è potenzialmente maligna. L’angiomiolipoma, ha generalmente un andamento di crescita lento ed omogeneo ed una morbilità minima.

Oncocitoma renale

L’oncocitoma renale è un tumore benigno che rappresenta il 3-7% di tutti i tumori renali solidi; la sua incidenza aumenta al 18% quando si considerano i tumori di diametro < 4 cm.  

Tumori renali cistici

Le lesioni renali cistiche sono classificate secondo la classificazione di Bosniak.

 

Classe di Bosniak

Caratteristiche

Gestione clinica

I

Cisti semplice benigna con parete sottile senza setti, calcificazioni o componenti solide. Stessa densità dell’acqua e non captazione di contrasto

Benigna

II

Cisti benigna che può contenere sottili sepimenti. Calcificazioni fini possono essere presenti nelle pareti o nei setti. Lesioni con alta attenuazione di <3 cm di diametro, con margini netti e senza captazione di contrasto

Benigna

IIF

Lesioni maggiormente sepimentate. Possono esserci ispessimenti o minima captazione di contrasto da parte delle pareti o dei setti. La cisti può contenere calcificazioni nodulari o lineari, senza captazione di contrasto. Non vi è enhancement dei tessuti molli. Questa categoria comprende anche le masse cistiche endofitiche di dimensioni ≥ 3 cm. Generalmente sono ben separate dal restante parenchima renale

Follow-up a 5 anni. Alcune sono maligne.

III

Sono masse cistiche indeterminate con pareti irregolari ed ispessite o con setti captanti contrasto

Chirurgia o sorveglianza attiva. Più del 50% sono maligne

IV

Masse cistiche maligne contenenti tessuti molli captanti contrasto

Chirurgia

 

Le cisti Bosniak I e II sono considerate benigne e non richiedono follow-up.

Le cisti Bosniak IV sono tumori maligni presentanti aree pseudocistiche. Le cisti Bosniak IIF e III costituiscono ancora una sfida irrisolta dal punto di vista della gestione clinica. La differenziazione tra lesione benigna nelle categorie IIF/III è basata sull’imaging TC, benchè la CEUS (ecografia con mezzo di contrasto) stia acquisendo un ruolo importante. La semplice tomografia computerizzata mostra una scarsa sensibilità (36%) e specificità (76%) comparata con la CEUS. Studi di coorte hanno dimostrato una prevalenza di malignità di 0.51 (0.44-0.58) per le cisti Bosniak III e 0,89 (0.83-0.92) per le cisti Bosniak IV, rispettivamente. In una revisione sistematica, meno del 1% delle cisti stabili Bosniak IIF si è dimostrata maligna durante il follow up. Il 12% delle cisti IIF è stato riclassificato come Bosniak III/IV durante il follow-up e l’85% di queste ha dimostrato un comportamento maligno, dati comparabili con i tassi delle cisti Bosniak IV.

Carcinoma renale a cellule chiare

Il carcinoma renale a cellule chiare (ccRCC) è generalmente ben circoscritto. La superficie di taglio è gialla- stra, spesso con aree emorragiche e necrotiche. La delezione del cromosoma 3p e la mutazione del gene von Hippel-Lindau (VHL) sul cromosoma 3p25 rappresentano alterazioni genetiche frequenti e possono essere accompagnate da mutazioni a carico di geni oncosopressori quali SETD2, BAP1 e PBRM1; tutti questi geni si trovano in un’area di genoma prossima al gene VHL che subisce frequentemente delezioni nell’ambito del RCC. In generale, il ccRCC ha una prognosi peggiore rispetto al pRCC e al chRCC anche dopo stratificazione per stadio e grado. Il tasso di sopravvivenza cancro-specifico (CSS) a cinque anni è pari al 91%, 74%, 67% e 32% per gli stadi I, II, III e IV, rispettivamente (pazienti trattati tra il 1987 e il 1998),

Carcinoma renale papillare

Il carcinoma renale papillare (pRCC) è il secondo istotipo più frequente di RCC. Il RCC papillare è tradizionalmente suddiviso in due tipi (36) – tipo I e tipo II – che hanno dimostrato differenti comportamenti clinici e biologici; il pRCC tipo I è associato a mutazioni attivanti del protoncogene MET e il pRCC tipo II è associato all’attivazione del pathway NRF2-ARE con almeno tre differenti sottotipi. Macroscopicamente, il pRCC è ben circoscritto con una pseudocapsula, è di colore giallo o bruno ed è soffice al taglio. In confronto al ccRCC, il pRCC è contraddistinto da un tasso decisamente superiore di malattia organo-confinata (pT1-2 N0 M0) e da un più alto tasso di sopravvivenza cancro-specifica a cinque anni. Il pRCC tipo I è più comune e si ritiene che abbia una prognosi migliore rispetto al pRCC tipo II . La crescita circolare esofitica, le sfumature simil-necrotiche e la presenza di pseudo-capsula sono elementi caratteristici del pRCC tipo I. Le masse tumorali sono friabili. Alla TC con mezzo di contrasto si presentano come aree di ipodensità centrale circondate da tessuto tumorale vitale captante contrasto.

Carcinoma renale cromofobo

Il carcinoma renale cromofobo (chRCC) si presenta solitamente come una massa di colore marrone chiaro, omogenea e dura, ben demarcata dal tessuto circostante e non capsulata. A causa della peculiare atipia nu- cleare, il chRCC non è classificabile con il sistema di grading di Fuhrman. È stato proposto un sistema di gra- ding alternativo, ma questo non è ancora stato validato. La prognosi è relativamente buona, con alta sopravvivenza libera da malattia (RFS) a cinque anni e CSS a dieci anni. Il nuovo sistema di grading WHO/ ISUP considera il tumore misto oncocitico-cromofobo come chRCC.

La diagnosi istologica include, oltre al tipo di RCC, altri aspetti, quali: valutazione del grado nucleare, caratteristiche sarcomatoidi, invasione vascolare, necrosi tumorale, invasione della via escretrice e del grasso perirenale, pT ed eventualmente pN. La classificazione di grading in quattro livelli WHO/ISUP (International Society of Urological Pathology) ha sostituito il sistema di grading secondo Fuhrman.

Le caratteristiche istologiche del carcinoma renale a cui può essere attribuito un valore prognostico sono: l’istotipo delle forme comuni di carcinoma renale (carcinoma renale a cellule chiare: 70-80% dei casi; carcinoma renale papillare: 10-15%; carcinoma cromofobo: 5%), il grado nucleolare secondo WHO/ISUP, la presenza di una componente sarcomatoide e/o rabdoide, la presenza di necrosi tumorale e l’invasione del seno renale. Negli ultimi due anni la classificazione dei tumori renali si è arricchita in seguito alla identificazione di forme emergenti, di nuove entità e ulteriore definizione delle forme già note tra cui sono riportate il carcinoma renale oncocitico insorto dopo neuroblastoma, il carcinoma follicolare “tiroide-like”, il carcinoma associato a traslocazione di ALK, il carcinoma renale con stroma leiomiomatoso . Studi basati sulla sopravvivenza hanno confermato come l’istotipo mantenga una validità prognostica, descrivendo il carcinoma a cellule chiare come l’istotipo maggiormente aggressivo, seguito dal carcinoma papillare e dal carcinoma cromofobo.

Il grado secondo WHO/ISUP rimane il fattore prognostico accreditato di maggior rilevanza per il carcinoma renale a cellule chiare e per il carcinoma papillare.

Stadiazione

Il carcinoma renale si presenta alla diagnosi come confinato al rene nel 55% dei casi, localmente avanzato nel 19% dei casi oppure con metastasi sincrone nel 25-30% dei casi. Il 30% circa dei pazienti sottoposti a chirurgia radicale per una neoplasia confinata all’organo, svilupperà comunque metastasi metacrone nel corso della vita. Le dimensioni della neoplasia primitiva da sole, non correlano con il rischio di metastatizzazione extra-renale. Siti frequenti di metastatizzazione sono il parenchima polmonare (nel 50- 60% dei casi), le ossa (30-40%) ed il fegato (30-40%) .

Il 60% circa delle neoplasie renali sono diagnosticate casualmente, come diretta conseguenza dell’impiego, sempre più estensivo, della diagnostica per immagini in pazienti non sospetti in senso oncologico.

Stadiazione TNM

Tx

Tumore primario non valutabile

T0

Nessuna evidenza di tumore primario

T1

Tumore di diametro maggiore ≤ 7 cm, confinato al rene T1a Tumore di diametro maggiore ≤4cm
T1b Tumore di diametro maggiore > 4cm ma ≤ 7cm

T2

Tumore di diametro maggiore ˃ 7 cm, confinato al rene

T2a Tumore di diametro maggiore >7cm ma ≤10 cm

T2b Tumore di diametro maggiore > 10 cm

T3

Tumore che infiltra le vene principali oppure i tessuti perirenali, ma non attraversa la fascia del Gerota e non invade la ghiandola surrenalica ipsilaterale
T3a Tumore che si estende macroscopicamente nella vena renale o interessa i suoi rami o

invade il tessuto adiposo perirenale e/o del seno renale
T3b Tumore che si estende macroscopicamente nella vena cava al di sotto del diaframma T3c Tumore che si estende macroscopicamente nella vena cava al di sopra del diaframma o invade la parete della vena cava

T4

Tumore che si estende oltre la fascia del Gerota (inclusa l’estensione nella ghiandola surrenale

 

N: Linfonodi regionali

Nx I linfonodi regionali non possono essere individuati

N0 Nessuna metastasi nei linfonodi regionali

N1 Metastasi in un singolo linfonodo regionale

N2 Metastasi in più di un linfonodo regionale

M: Metastasi a distanza

Mx Le metastasi a distanza non possono essere valutate

M0 Nessuna evidenza di metastasi a distanza

M1 Metastasi a distanza

 

Stadio I

T1

N0

M0

Stadio II

T2

N0

M0

Stadio III

 

T3

T1, T2, T3

 

N0

N1

M0

M0

StadioIV

T4

Ogni T

Ogni T

Ogni N

N2

Ogni N

M0

M0

M1

 

Classificazione TNM/AJCC del carcinoma renale

Fattori prognostici e predittivi

La prognosi dei pazienti affetti da carcinoma renale è influenzata dalle caratteristiche anatomiche, istologiche, cliniche e molecolari della neoplasia. L’utilizzo dei fattori prognostici anatomo-istologici è maggiormente supportato da più alti livelli di evidenza rispetto ai fattori clinici e molecolari.

Caratteristiche anatomiche

Le caratteristiche anatomiche sono nella pratica clinica descritte attraverso il sistema di classificazione TNM. I sistemi di classificazione anatomici come il PADUA (Preoperative Aspects and Dimensions Used for an Anatomical classification system) recentemente aggiornato con la versione semplificata SPARE (Simplified, PAdua REnal), il R.E.N.A.L. (Radium, Exophytic/endophytic properties, Nearness of the tumor to the collecting system or sinus, Anterior/posterior, Location relative to the polar line) ed il C-index sono stati proposti per standardizzare la descrizione dei tumori renali.

Questi sistemi di classificazione prendono in considerazione caratteristiche come le dimensioni, la crescita endo/esofitica, i rapporti con l’ilo renale ed i dotti collettori e la posizione anteriore o posteriore del tumore.

Caratteristiche istologiche

Le principali caratteristiche istologiche del carcinoma renale a cui può essere attribuito un valore prognostico sono: l’istotipo (cellule chiare: 70-80% dei casi; papillare: 10-15%; cromofobo: 5%), il grading, la presenza di una componente sarcomatoide, l’invasione microvascolare, la presenza di necrosi tumorale e l’interessamento del sistema collettore. Il grading rimane il fattore prognostico accreditato di maggior rilevanza

Caratteristiche cliniche e parametri di laboratorio

Tra le caratteristiche cliniche rilevanti da un punto di vista prognostico dobbiamo citare il Performance Status (PS), che può essere classificato secondo due modelli, quello ideato dall’Eastern Cooperative Oncology Group (ECOG), e quello di Karnofsky. Entrambi sono sistemi di classificazione dello stato clinico del paziente e quindi dell’impatto della malattia sulla salute generale; i due modelli stratificano i pazienti in relazione alla loro disabilità funzionale.

Caratteristiche molecolari

Numerosi sono i marcatori molecolari attualmente in fase di valutazione per accertarne un valore prognostico e/o predittivo della differente risposta alle target therapy ed all’immunoterapia.
I marcatori molecolari possono essere suddivisi in base alla loro fisiologica collocazione in marcatori circolanti quali VEGF e proteine correlate al VEGF, citochine e fattori angiogenici (CAF), cellule endoteliali circolanti (CEC), anidrasi carbonica IX (CaIX), LDH [19] e marcatori tissutali come Ki67, p53, P21, PTEN, polimorfismi nucleotidici (SNPs), marcatori correlati al pathway di VHL (von Hippel-Lindau) e mTOR (mammalian target of rapamycin) [20-38]. Fino ad oggi nessuno di questi ha dimostrato di migliorare la valutazione prognostica nel singolo paziente e/o è stato ancora validato. L’applicabilità di un simile approccio molecolare non è attualmente utilizzabile nella pratica clinica.

Sistemi prognostici

Tipi

Percentuale RCC

Malattia avanzata alla diagnosi (T3-4, N+, M+)

Grado di Fuhrman

CSS (HR)

RCC a cellule chiare

80-90%

28%

28,5%

Riferimento

RCC papillare

6-15%

17,6%

28,8%

0,64-0,85

RCC cromofobo

2-5%

16,9%

32,7%

0,24-0,56

 

I criteri del Memorial Sloan Kettering Center o criteri di Motzer per la malattia avanzata

Motzer e Coll., in una casistica di 670 pazienti affetti da RCC in fase avanzata e trattati con immunoterapia o chemioterapia, hanno identificato cinque fattori pretrattamento significativamente correlati ad una prognosi peggiore: Karnofsky PS basso (<80%), valore elevato dell’LDH (>1,5 volte il limite superiore del range di normalità) e della calcemia (>10 mg/dl), valore basso dell’emoglobina (˂limite inferiore del range di normalità), e la mancata asportazione del tumore primitivo. Utilizzando queste variabili, hanno stratificato i pazienti in tre gruppi (gruppo a prognosi favorevole, intermedia e sfavorevole) con differente prognosi sfavorevole.

Prognosi

Numero di fattori

Sopravvivenza media

Sopravvivenza a 3 aa

Favorevole

0

30 mesi

45%

Intermedia

1-2

14 mesi

17%

Sfavorevole

3-5

5   mesi

2%

 

Il sistema prognostico dell’International Metastatic RCC Database Consortium (o sistema prognostico di Heng)

Heng e Coll, in una casistica di 645 pazienti affetti da carcinoma renale avanzato, hanno identificato sei fattori prognostici significativamente correlati ad una prognosi peggiore (International Metastatic RCC Database Consortium o sistema prognostico di Heng). Nell’analisi sono stati inclusi anche i pazienti che avevano ricevuto una prima linea di trattamento con citochine e inibitori di VEGF/VEGFr come trattamento di seconda linea. Sono stati identificati sei fattori prognostici: Performance status sec Karnofsky ˂80%, basso livello di emoglobina (˂ limite inferiore del range di normalità), calcemia elevata (calcio plasmatico corretto > limite superiore del range di normalità), periodo dalla diagnosi al trattamento ˂ 1 anno, elevata conta assoluta dei neutrofili (> limite superiore del range di normalità) ed elevato numero di piastrine (> limite superiore del range di normalità). I pazienti sono stati stratificati in tre categorie prognostiche: prognosi favorevole (senza fattori di rischio; n= 133), in cui non è stata raggiunta la OS mediana e la OS a 2 anni è stata del 75%; prognosi intermedia (uno o due fattori di rischio; n= 301), in cui la OS mediana è stata 27 mesi e la OS a 2 anni è stata del 53%; e 30 mesi 45% 14 mesi 17% prognosi sfavorevole (da tre a sei fattori prognostici; n= 152) in cui la OS mediana è stata 8,8 mesi e la OS a 2 anni è stata del 7% .

Prognosi

Numero di fattori

Sopravvivenza media

Sopravvivenza a 3 aa

Favorevole

0

NR

75%

Intermedia

1-2

27 mesi

53%

Sfavorevole

3-6

8,8 mesi

7%

 

Stadiazione

Il carcinoma renale si presenta alla diagnosi come confinato al rene nel 55% dei casi, localmente avanzato nel 19% dei casi oppure con metastasi sincrone nel 25-30% dei casi. Il 30% circa dei pazienti sottoposti a chirurgia radicale per una neoplasia confinata all’organo, svilupperà comunque metastasi metacrone nel corso della vita. Le dimensioni della neoplasia primitiva da sole, non correlano con il rischio di metastatizzazione extra-renale. Siti frequenti di metastatizzazione sono il parenchima polmonare (nel 50- 60% dei casi), le ossa (30-40%) ed il fegato (30-40%) .

Il 60% circa delle neoplasie renali sono diagnosticate casualmente, come diretta conseguenza dell’impiego, sempre più estensivo, della diagnostica per immagini in pazienti non sospetti in senso oncologico.

TRATTAMENTO

Trattamento Angiomiolipoma (AML)

La sorveglianza attiva è l’opzione più appropriata per la maggiore parte di AML. La gestione dell’AML richiede l’intervento chirurgico in caso di dolore persistente oppure di sanguinamento acuto o persi- stente. Inoltre, l’asportazione profilattica di tumori con diametro maggiore a 4-5 cm ne impedisce l’eventuale rottura spontanea e la conseguente severa emorragia. La chirurgia renale conservativa è il trattamento chirurgico di scelta. L’embolizzazione arteriosa selettiva può essere utilizzata nei grossi tumori (>4-5 cm) non candidabili a chirurgia oppure come procedura di emergenza in caso di sanguinamento acuto. Nei tumori molto voluminosi, l’embolizzazione può garantire la riduzione del volume della massa prima della chirurgia renale conservativa, per meglio conservare la funzionalità del parenchima renale residuo. L’embolizzazione arteriosa è una buona metodica per garantire la devascolarizzazione dell’AML, ma solamente al fine di garantirne la riduzione volumetrica; essa ha un valore limitato a lungo termine. L’ablazione con radiofrequenze (RFA) può essere un’opzione in alcuni pazienti. In pazienti con sclerosi tuberosa, gli inibitori di mTOR come everolimus possono determinare una riduzione degli AML frequentemente bilaterali-

Trattamento Oncocitoma

Il trattamento standard dell’oncocitoma è quello degli altri tumori renali: escissione chirurgica tramite PN o RN e successiva analisi istopatologica. Tuttavia, a causa dello scarso potere diagnostico differenziale delle tecniche di imaging, vi è un rinnovato interesse nella biopsia renale (RMB) prima dell’intervento chirurgico. Dal momento che l’oncocitoma è un tumore benigno, l’AS è una potenziale opzione. L’accuratezza della biopsia e la gestione degli oncocitomi localmente avanzati o in progressione vanno considerati in tale contesto. L’accuratezza diagnostica delle modalità di imaging (CT, MRI) per l’oncocitoma renale è limitata e l’istopatologia rimane l’unica modalità diagnostica affidabile. Le neoplasie renali oncocitarie diagnosticate tramite RMB si sono dimostrate essere oncocitomi all’esame istologico in solo il 64.6 % dei casi. I rimanenti sono soprattutto chRCC (18.7 %, incluso il 6% rappresentato da tumore misto oncocitico/cromofobo che attualmente è annoverato tra i chRCC), altri RCC (12.5%) e altre lesioni benigne (4.2%). La maggior parte degli oncocitomi progredisce lentamente con un tasso di crescita annuo < 14 mm. Risultati preliminari evidenziano come l’AS può essere una scelta sicura per la gestione dell’oncocitoma in pazienti selezionati.

Trattamento malattia organo confinata

Trattamento chirurgico

La chirurgia rappresenta il trattamento standard del tumore renale localizzato. Le opzioni chirurgiche sono costituite dalla nefrectomia radicale e dalla chirurgia conservativa d’organo (nephron-sparing surgery).

Nefrectomia radicale

L’intervento di nefrectomia totale (o radicale) consiste nell’asportare il rene e il surrene contestualmente al grasso perirenale e alla guaina esterna a quest’ultimo, detta fascia di Gerota e della pelvi e del tratto iniziale dell’uretere; in altri termini rene, surrene, strutture che vengono asportati in un unico blocco.
Quest’intervento viene eseguito usualmente in caso di tumore renale maligno che abbia un diametro superiore a 3 cm. Al di sotto di queste dimensioni, si esegue un’asportazione della massa tumorale risparmiando il rene.
Solo in casi particolari, l’indicazione alla nefrectomia radicale può essere estesa anche a masse del diametro inferiore ai 3 cm, così come, per tumori più grossi, può essere eseguita l’asportazione della sola massa. La decisione viene presa nella maggior parte dei casi prima dell’operazione, altre volte nel corso dell’intervento. La nefrectomia radicale viene eseguita in anestesia generale, oppure “blended”, cioè con l’associazione dell’anestesia generale a quella spinale, in regime di ricovero ordinario con tempi di degenza compresi tra 4 e 7 giorni. L’intervento ha una durata che va dalle 2 alle 4 ore.
Nella maggior parte dei casi, la perdita di sangue durante l’operazione è tale da non necessitare di emotrasfusioni.

Gli step per la corretta esecuzione dell’intervento di nefrectomia radicale sono

      • legatura e sezione dei vasi sanguigni renali (una o più arterie e una o più vene),
      • legatura e sezione dei vasi gonadici e dell’uretere,
      • isolamento extrafasciale del rene e sua asportazione (il rene rimane avvolto dal grasso e dalla guaina o fascia sopra descritta).

Concettualmente la legatura e la sezione dei vasi sanguigni, eseguite prima di isolare il rene, eviterebbero la migrazione a distanza di cellule che potrebbero staccarsi dal tumore a causa della manipolazione dell’organo durante la fase del suo isolamento. Per poter raggiungere i vasi sanguigni, legarli e sezionarli, senza prima manipolare il rene, è necessario che l’accesso chirurgico sia anteriore.

Distinguiamo una nefrectomia radicale:

con tecnica open, “a cielo aperto”, con accesso al rene per via extraperitoneale o transperitoneale

con tecnica laparoscopica, con accesso al rene per via extraperitoneale o transperitoneale

con tecnica robotica, con accesso al rene per via transperitoneale.

Sono disponibili alcuni studi di confronto che hanno analizzato i risultati perioperatori della nefrectomia radicale (RN) laparoscopica vs. a cielo aperto per tumori renali ≥T2. Nel complesso, i pazienti sottoposti a RN laparoscopica hanno dimostrato minori perdite ematiche, un ridotto dolore post-operatorio, una degenza e convalescenza più breve rispetto ai pazienti sottoposti a RN a cielo aperto. Le complicanze intra e post-operatorie sono risultate simili nei due gruppi. Non sono state riportate differenze significative di CSS, PFS e OS. Un recente lavoro con pazienti in stadio cT1 ha evidenziato a carico della procedura robot-assistita una maggiore durata dell’intervento (150 Vs 120 minuti) con sovrapponibile tempo di ischemia (15 Vs 16 minuti), e un lieve vantaggio per la RPN in termini di perdite ematiche (100 Vs 150 ml). La procedura laparoscopica è però risultata associata a un dimezzamento del rischio di complicanze Clavien-Dindo ≥2 (OR 0.54, LC95% 0.33-0.91) .

 L’approccio retroperitoneoscopico o transperitoneale per la RN ha ottenuto simili risultati oncologici in due RCT ed in uno studio quasi-randomizzato. La QoL è risultata simile per i due approcci.

Un RCT ed una la revisione di un database hanno confrontato la RN laparoscopica hand-assisted vs. quella laparoscopica standard. La OS, CSS e RFS a cinque anni erano sovrapponibili. Il tempo operatorio era significativamente più breve con la tecnica hand-assisted, mentre la degenza ed il tempo di recupero per l’esecuzione sforzi non pesanti risultavano inferiori per la tecnica standard. Tuttavia, la dimensione del campione era limitata.

Indicazioni alla surrenalectomia associata

La surrenalectomia omolaterale associata alla nefrectomia radicale non è raccomandata in mancanza di evidenza clinica (radiologica o intraoperatoria) di coinvolgimento del surrene. La localizzazione della massa al polo superiore del rene non è necessariamente predittiva di un coinvolgimento surrenalico.

Indicazioni alla linfoadenectomia associata. Nel tumore renale localizzato senza evidenza clinica (TC/RM o intraoperatoria) di coinvolgimento linfonodale (cN0) non c’è alcuna indicazione alla linfadenectomia.

Tecniche di chirurgia nephron-sparing (NSS)

Le tecniche di nephron-sparing surgery (NSS) prevedono l’asportazione della lesione tumorale con più o meno tessuto sano circostante. Distinguiamo, quindi: una enucleo-resezione ovvero asportazione della neoformazione con una rima di parenchima sano circostante, da una enucleazione, asportazione della neoformazione seguendo il piano di clivaggio della pseudo-capsula, ad una resezione polare o a cuneo, ovvero ad asportazione della neoformazione assieme a un polo renale o un cuneo di parenchima sano, risparmiando l’organo coinvolto. Queste tecniche sono nate nel recente passato come indicazione in condizioni di necessità assoluta (monorene chirurgico o funzionale, RCC bilaterale, condizioni sindromiche) risparmiando una funzionalità renale sufficiente ad evitare il trattamento dialitico. Distinguiamo una tecnica di nephron-sparing surgery (NSS):

con tecnica open, “a cielo aperto”, con accesso al rene per via extraperitoneale o transperitoneale

con tecnica laparoscopica, con accesso al rene per via extraperitoneale o transperitoneale

con tecnica robotica, con accesso al rene per via transperitoneale

Le tecniche di chirurgia nephron-sparing sono state progressivamente adottate anche in assenza di patologia coinvolgente l’altro rene. La NSS è preferibile rispetto alla nefrectomia radicale, ogniqualvolta sia tecnicamente praticabile, nel trattamento dei tumori renali localizzati. In particolare è raccomandata nei cT1a e, in centri esperti, nei cT1b. Rispetto alla nefrectomia radicale, con la NSS si hanno: – eguali risultati oncologici, – minor perdita di funzionalità renale. La NSS non è indicata in caso di tumore ≥ cT2, sede del tumore altamente complessa, condizioni di salute del paziente scadute. In caso sia tecnicamente fattibile una NSS, non è accettabile la soluzione alternativa di una nefrectomia laparoscopica solo perché più semplice da eseguire.

Nelle neoplasie renali di diametro <4 cm (T1a) la nefrectomia parziale ha dimostrato di migliorare l’outcome dei pazienti (sopravvivenza globale e cancro-specifica) indipendentemente dall’età e dalla presenza di comorbidità, riducendo il rischio di insufficienza renale cronica e di complicanze cardiovascolari associate. La concordanza degli effetti osservati nonostante l’insufficiente qualità delle evidenze a supporto permette di concludere per una netta prevalenza dei benefici sui danni.

Nel caso delle neoplasie di diametro compreso tra 4 e 7 cm non sembra esserci un evidente miglioramento degli outcome oncologici (sostanziale sovrapponibilità in presenza di una marcata imprecisione delle stime), tuttavia viene confermato il beneficio sulla funzionalità renale. Anche in questo caso si può concludere per una prevalenza (seppure marginale) dei benefici sui danni. In molte analisi retrospettive di grossi database, la chirurgia renale conservativa ha dimostrato di essere correlata ad una ridotta mortalità cardiovascolare e ad un aumento della OS rispetto agli approcci radicali.

Un’analisi del database Medicare, non ha dimostrato un beneficio in termini di OS fra le tecniche di nephron-sparing surgery (NSS) o di chirugia radicaler ispetto alle terapie non chirurgiche nei pazienti di età > 75 anni.

Nei pazienti con neoplasia renale T1a e T1b la nefrectomia parziale laparoscopica è raccomandabile in alternativa alla nefrectomia parziale open in termini di conservazione funzionale, preservazione dei margini chirurgici e minimizzazione delle complicanze urologiche?

Il lavoro pubblicato da Gill et al. su 1800 casi di nefrectomie parziali laparoscopiche (LPN) e open (OPN) confronta le due metodiche in tre centri di riferimento americani. Le procedure laparoscopiche sono risultate associarsi a tempi di ischemia più lunghi (30.7 Vs 20.1 min) ma con minore durata della procedura operatoria (201 Vs 266 minuti), minori perdite ematiche (300 Vs 376 cc), minor tempo di degenza (3.3 Vs 5.8 giorni); vi è stato un maggiore tasso di complicanze postoperatorie (18.6% Vs 13.7%), mantenendo però risultati funzionali (nadir della creatinina sierica postoperatoria ≥1.5 mg/dl in pazienti con normale funzionalità renale pre-operatoria: LPN 8.0% Vs OPN 8.7%) e oncologici (sopravvivenza cancro- specifica a 3 anni: LPN 99.3% [LC95% 98.0-100] Vs OPN 99.2% [LC95% 98.4-100]) a breve termine simili quanto osservato per le procedure open.

Un lavoro più recente pubblicato da Bravi et al. nel 2019 su 1307 pazienti (625 LPN e 682 OPN) in stadio cT1 prospetticamente arruolati nell’ambito del progetto italiano RECORD2 ha evidenziato un miglioramento generale dei parametri operatori rispetto alle serie sopra descritte; la durata dell’intervento (LPN 120 Vs OPN 122 minuti) e del tempo di ischemia (16 minuti per entrambe le procedure) sono sovrapponibili, con un lieve vantaggio per la LPN in termini di perdite ematiche (150 Vs 200 ml). La procedura laparoscopica è risultata associata a un dimezzamento del rischio di complicanze Clavien-Dindo ≥2 (OR 0.52, LC95% 0.34-0.78) e a un aumento relativo del 28% di ottenimento dell’esito trifecta (massima conservazione funzionale, margini chirurgici negativi, minimizzazione delle complicanze urologiche) (OR 1.28, LC95% 0.94-1.74)

Nei pazienti con neoplasia renale T1a e T1b la nefrectomia parziale robotica è raccomandabile in alternativa alla nefrectomia parziale laparoscopica in termini di outcome peri- e post-operatori sia di beneficio sia di danno?

La Letteratura attribuisce alla nefrectomia parziale robotica un minor tempo di ischemia calda (differenza media -4.34 minuti; LC95% -6.17, -2.51; I2 90%), un minor tempo operatorio (differenza media -12.19. minuti; LC95% -37.37, 12.98; I2 99%) e una minore perdita ematica intraoperatoria (differenza media -24.55 ml; LC95% -57.89, 8.78; I2 96%); il tempo di degenza ospedaliera (differenza media -0,22 giorni; LC95% -0.97, 0.04; I2 65%) e il decremento della funzionalità renale (differenza media -2.10 ml/min; LC95% -8.17, 3.96; I2 97%) sono tendenzialmente sovrapponibili per le due metodiche operatorie; tuttavia, vi è a favore di RPN un’importante riduzione del rischio di complicanze Clavien ≥3 (RR 0.71; LC95% 0.52, 0.95; I2 0%) e di conversione a nefrectomia radicale (RR 0.44; LC95% 0.18, 1.09; I2 0%); vi è infine a favore di RPN un dimezzamento del rischio di positività dei margini di resezione (RR 0.53; LC95% 0.39, 0.72; I2 28%).

Trattamento della malattia non organo confinata

Qualora il tumore del rene fosse diagnosticato in fase avanzata, cioè con coinvolgimento di altri organi, fra cui soprattutto polmone, fegato, linfonodi o ossa, si esegue spesso la nefrectomia come primo intervento al fine di confermare la diagnosi e ridurre il carico complessivo di malattia. C’è poi indicazione a iniziare trattamenti oncologici sistemici con nuovi farmaci che bloccano l’apporto di sangue alle cellule tumorali, definiti farmaci anti-angiogenici, e con agenti immunoterapici. Si tratta di farmaci da assumere per molti mesi, spesso in maniera cronica.
Il tipo di farmaco è scelto dal medico oncologo in base alle caratteristiche del paziente, del sottotipo tumorale e delle altre malattie eventualmente presenti. Scopo di queste terapie è controllare i sintomi correlati alla presenza del tumore, migliorare la qualità della vita e prolungare la sopravvivenza.

Terapia a bersaglio molecolare

Sono stati sviluppati nuovi farmaci per la terapia mirata, con lo scopo di colpire obiettivi precisi a livello cellulare, critici per la crescita e la sopravvivenza delle cellule tumorali. I farmaci mirati efficaci nel trattamento del tumore del rene hanno un comune denominatore: hanno un’azione “antiangiogenica”, hanno cioè la capacità di inibire la formazione di nuovi vasi sanguigni. Questa azione interferisce con lo sviluppo del tumore che, per crescere, ha bisogno di ossigeno e di sangue e dunque di nuovi vasi sanguigni che lo irrorino. L’azione di questi farmaci non è comunque soltanto anti-angiogenica ma si esplica anche come inibizione della proliferazione cellulare, in misura variabile a seconda del tipo di farmaco. L’introduzione degli inibitori della tyrosine kinase (TKIs) e del pathway del mammalian target of rapamycin (mTOR), in seguito alla scoperta di una peculiarità del carcinoma a cellule renali metastatico (mRCC), cioè della sua particolare propensione a indurre vasi neoformati (neoangiogenesi), ha cambiato lo scenario terapeutico. Sono stati recentemente messi a punto nuovi farmaci per la terapia a bersaglio molecolare (sunitinib, sorafenib, pazopanib, bevacizumab, temsirolimus, everolimus, axitinib e cabozantinib) che hanno contribuito a migliorare la prognosi dei pazienti con tumore del rene localmente avanzato e metastatico. Si usano soprattutto per controllare la malattia, riducendo le dimensioni della massa tumorale oppure rallentandone la crescita. Chemioterapia La chemioterapia consiste nell’impiego di particolari farmaci antitumorali, detti citotossici o antiblastici, per distruggere le cellule tumorali. I chemioterapici si somministrano usualmente per endovena, ma esistono anche formulazioni in compresse. Il cancro del rene è estremamente resistente alla chemioterapia e non ci sono chiare indicazioni per somministrarla a pazienti con carcinoma renale a cellule chiare metastatico. Solo alcuni particolari e rari tipi di tumore del rene, come quelli a cellule del Bellini, vengono trattati con la chemioterapia, essendo biologicamente più simili ai tumori della vescica che ai carcinomi renali veri e propri.

Radioterapia

La radioterapia consiste nell’uso di radiazioni ad alta energia per distruggere le cellule tumorali, cercando al tempo stesso di danneggiare il meno possibile le cellule normali. È un trattamento generalmente utilizzato per il trattamento di alcune sedi particolari di malattia, come le ossa o il cervello. Il numero di trattamenti e la durata del ciclo dipenderanno dal tipo e dalle dimensioni del tumore. Se lo scopo è alleviare il dolore, la sessione di trattamento si effettua di solito giornalmente, per pochi minuti, per un breve periodo. Il cancro del rene è poco sensibile alle radiazioni e per questo il trattamento viene utilizzato solo in pochi casi, in particolare per ridurre un tumore che provoca molto dolore o che ha intaccato altri organi.

Immunoterapia

L’immunoterapia consiste nella somministrazione di sostanze prodotte dall’organismo stesso oppure di origine sintetica per stimolare, orientare o ripristinare il sistema immunitario dell’organismo a difendersi dalla malattia. L’immunoterapia è detta anche terapia con somministrazione di modificatori della risposta biologica (o BRM, acronimo dal nome inglese).